Ancora negli ultimi giorni del conflitto, e a un passo dalla vittoria, le forze alleate si impegnano in Italia, da nord a sud, in un mirato sostegno a istanze separatiste ai fini del contenimento delle sinistre. Affidata ad un esordiente Eugenio Cefis, e ad un ancor più giovane Gianfranco Miglio, questa strategia finisce per incrociarsi con un complesso apparato di istituti culturali federalisti, emanazione della CIA, che gli anglo-americani impongono sul continente, al fine di controllarne il futuro geopolitico. Via via che il verbo etnico e identitario si fa paradigma di questi movimenti, il federalismo diventa in Italia il laboratorio di una trama sottile volta a creare un'ulteriore opzione alla deriva a sinistra del Paese: quella della sua disgregazione in macro-regioni distinte per criteri etnici da sottrarre a uno Stato centrale, una volta caduto sotto il governo del PCI. Le ombre dei servizi, delle logge e dell'eversione nera entrano così in scena, senza esclusione di morti eccellenti quanto ambigue, fino al frutto di questo progetto politico e al suo leader, la Lega di Umberto Bossi. Di qui sono le maglie della P2 a raffinare il progetto e poi, mentre Tangentopoli dissolve l'equilibrio politico della Penisola, Licio Gelli in persona a siglare, fuori dai clamori, l'intesa con una pletora di formazioni autonomiste innescate a sud dalla mafia. Un percorso destinato a mutare solo quando, a sorpresa, Silvio Berlusconi irrompe sulla scena, dirottando nel suo nuovo partito quelle medesime forze intese a impedire l'accesso dei comunisti al potere.