Non basta amare alla follia un figlio per aiutarlo. Per noi mamma e papà sono parole che racchiudono tutto, che semplificano ed esemplificano. Ecco, il mio bambino carioca ha bisogno di capire, di accettare, di decidere, di imparare. Con calma, con tempi che sono e saranno solo suoi, deve aggiungere un sassolino alla volta e costruire una sua montagna. Poi salirci, scenderci, guardarla dal basso, osservare il panorama dall'alto. Respirare. Noi genitori dobbiamo agire in punta di piedi, chiedere permesso, saper aspettare anche oltre ciò che riteniamo sopportabile. Perché il nostro metro di giudizio, la nostra percezione del tempo, il nostro amore non hanno valenza universale. Almeno non ce l'hanno per il nostro bambino. L'appartenenza è un percorso, un viaggio, non si fa da un giorno all'altro e non è mai scontata. Anche l'appartenenza in famiglia è un percorso scandito dai giorni che passano, dal crescere insieme, dall'essere assieme nei tempi della gioia e del dolore. E questo è un libro di viaggio. E questo ci racconta Fabio, pagina dopo pagina, raccontandoci le luci e le ombre, le nuvole e i raggi di sole del suo piccolo ciclone carioca e la sua fantastica intuizione: «Lo sai che ti voglio bene?» gli chiedo mentre lo aiuto a vestirsi []. Questa volta, però, il mio quesito non è stato evaso o evitato. Mi ha guardato in faccia, ha sorriso e poi ha risposto serenamente «Papà, la tua è una domanda retorica». Sono rimasto allibito, così gli ho chiesto se sapesse il significato di quell'affermazione e lui serafico mi ha detto «Ma certo, l'hai spiegato ieri a mia sorella. Vuol dire che nella domanda c'è già la risposta». «Quindi significa che sai che ti voglio bene?». E lui «La smetti di farmi domande retoriche?». Game over.