Con brutalità e con delicatezza, con frasi che ogni volta hanno un filo perfettamente tagliente, Cioran vaga in questo libro non già intorno a 'problemi', come fanno spesso i filosofi, ma intorno alle 'cose', come fanno i pochi che pensano veramente - e, fra le tante cose, intorno a quella unica che non cesserà mai di torturarci e di travolgerci: il puro fatto di 'essere nati', quella rinuncia primordiale alla possibilità che costituisce la nostra esistenza. In questo libro, più che mai prima, Cioran si avvicina a certi temi, a certi modi dei buddhisti più radicali. E forse proprio questa diversione verso l'Oriente, verso la sua asciuttezza dinanzi alle cose ultime, gli permette di trovare un 'passo' aspramente idiosincratico, un'andatura insofferente verso tutto, soggetta però ad "accessi di gratitudine per Giobbe e Chamfort, per la vociferazione e il vetriolo". E' il passo di una lunga deambulazione notturna, da cui nasce e si concatena questa sequenza di aforismi e di evasione "dalla Specie, da questa turpe e immemoriale marmaglia".