Con sguardo limpido e acuto, Luca Ricci racconta una storia di calcio e di chiesa. Una vicenda in cui tutti sembrano essere colpevoli e per ciascuno è chiara soltanto una cosa: «è difficile tener testa alle proprie bassezze».
Un giovane prete viene mandato - forse per scontare una colpa - a trascorrere i mesi invernali in un paese sperduto sull'Appennino. Lo attende una manciata di case sprofondate nel gelo, dove una piccola comunità contadina trascorre le giornate tra il lavoro nei campi e qualche svogliata partita a poker. Le visite ai malati e le confessioni dei fedeli si susseguono monotone, solo una cosa riesce ad appassionare un po' alla volta il prete: la squadra di calcio del paese. Ma un evento drammatico è destinato a scuotere la sonnolenta vita della comunità: la morte - apparentemente accidentale - di un bambino che faceva il chierichetto.
«Impossibile non commettere errori quando tutti si aspettano che li commetterai», dice con superbia il protagonista del romanzo. Ed è impossibile per il lettore non verificare, quasi con ammirazione, quanto la forza della meschinità riesca a sradicare ogni certezza. Con uno stile asciutto, che procede per continui affondi, Luca Ricci ci mostra come l'ambizione muova il mondo, e come la cattiveria possa diventare un'arte.
«Era come vedere un calcio di rigore per la prima volta, un calcio di rigore originario, anteriore all'invenzione dei calci di rigore. Mi dava qualcosa di cui avevo un bisogno forsennato, qualcosa che da troppo tempo avevo deriso dentro di me».