L' America è un'immagine sovraesposta. E incominciamo a non vederla più. Eros Ramazzotti cantava, allora probabile e in un allora che ha ormai un quarto di secolo, di una terra promessa che iniziava a svaporare dai nostri immaginari. Era, fu l'America di Nanda Pivano e del presidente Kennedy, di Dennis Hopper e su nei decenni fino a Reagan, Clinton e Bush: il mito che il dopoguerra ci ha consegnato e che la storia, al volgere di millennio, sta smontando per un nuovo assetto mondiale. Un'America che, mito, si è identificata col cuore del suo mito: New York. D'Andrea la racconta in queste pagine con la capacità di andare oltre l'apparenza, scandagliando realtà indicative del nostro presente, con un linguaggio estremamente piacevole ma innanzitutto con l'intelligenza del tempo: la capacità dello sguardo di posarsi nei luoghi più inaspettati (i cessi, ad esempio, o una panchina del metrò) per ricavarne un vivace ritratto d'America oggi, da leggere tutto d'un fiato.
La nostra recensione
Perfetto in questo periodo in cui ci sentiamo contagiati dal clima elettorale americano, questo libro ci racconta gli States dal cuore del mito, New York, che l'autore conosce tanto bene da poter scegliere di proporre aspetti, volti, caratteristiche che meglio possono far risaltare le differenze con l'Italia, come avvisa il sottotitolo: 'Perché gli Stati Uniti hanno ancora qualcosa da sognare (e noi no)'. I brevi capitoli sono introdotti da una foto a colori scattata dall'autore quasi fosse colta al volo, ma non certo casuale, perché ciascuna racconta una storia e trae una morale. Ad esempio quella della barbona vista di schiena, con un giubbotto contrassegnato da una grande scritta 'USA', che offre spunto all'autore, docente di Sociologia della comunicazione, 'per supporre che della propria situazione di povertà lei non incolpi lo Stato', a differenza dell'italiano medio che ha pronto il proverbio 'piove, governo ladro', 'come se non ci competesse farci carico della soluzione dei nostri problemi.' Daniela Pizzagalli