Alle vedove dei grandi scrittori tocca spesso in sorte di trasformarsi in vestali, per mantenere la memoria del caro estinto al riparo da scandali e pettegolezzi. Non è mai un compito facile, e la seconda signora Driffield lo sa bene. Se poi al momento di individuare un agiografo affidabile la scelta ricade su un uomo come Alroy Kear, astro nascente della scena letteraria, ma già noto per "essere in grado di spolpare un uomo fino all'osso, senza per questo serbargli rancore", il minimo che possa accadere è che dal passato del riverito Edward Driffield riemerga almeno un fantasma. Che ha le sembianze - inaccettabili per i frequentatori dei salotti londinesi, irresistibili per chiunque altro - di Rosie, la prima signora Driffield. Da questo spunto Maugham ha ricavato una commedia di costume divertentissima e feroce. E se alla sua uscita nel 1930 (quando chiunque riconosceva nei personaggi tutte le leggende dell'epoca, da Thomas Hardy a Hugh Walpole fino all'autore stesso nei panni della sua controfigura prediletta, il narratore Ashenden) il libro suscitò enorme scandalo, oggi viene da molti ritenuto l'opera in cui Maugham si è spinto più lontano - addirittura, sostiene Gore Vidal, fino a Jane Austen.
Ho letto tutto d'un fiato questo libro (benché all'inizio avessi fatto abbastanza fatica): questo è un libro particolare, dove non manca l'umorismo all'inglese tipico anche di quest'autore. Ma ciò che mi ha colpito è l'intrecciarsi di 2 diversi temi: il primo è quello di dover per forza plasmare degli eroi letterari, il secondo è la rievocazione della giovinezza dell'autore con l'indimenticabile personaggio di Rosie.
Gabriele Macorini - 24/11/2004 08:57