Con straordinario scrupolo critico, testi ed eventi sono ricondotti al loro preciso contesto storico, così da sgombrare il campo da sbavature anacronistiche e ricostruzioni approssimative che hanno intorbidato questioni già di per sé complesse di storia politica e sociale come di storia letteraria. Ne scaturisce una lezione di metodo, che non rifugge da scatti polemici: queste Machiavellerie, «scontrose piuttosto che indulgenti», sono la testimonianza dell'etica intellettuale di un grande studioso. Dai saggi sui rapporti col Valentino e il suo luogotenente e boia don Micheletto a quelli sulla lingua e la civiltà letteraria del primo quarto del Cinquecento, ci appare la multiforme attività di Machiavelli che, se non fu un umanista nel senso proprio del termine, sempre riflette nella sua personalità e nella sua cultura il sapere e il sentire del suo tempo nelle punte più avanzate e originali: dalla grande stagione di Lorenzo il Magnifico e del Poliziano fino all'età del primo e del secondo papato mediceo, tragicamente chiusa dal sacco di Roma. Nel cuore di questo periodo, Machiavelli, «dopo la delusione del Principe, sempre più animosamente s'impegna a cercare nella letteratura militante dell'età sua una ragione di vita», e dai Discorsi all'Arte della guerra vagheggia una soluzione della crisi italiana «attraverso il recupero dell'antica tradizione fiorentina, in direzione opposta agli sviluppi cortigiani comuni al resto d'Italia».