Massacro in ambasciata. Gli orrori della dittatura guatemalteca nella denuncia dell'ambasciatore sopravvissuto all'incendio della sede diplomatica spagnola
Nella tormentata storia recente del Guatemala c'è un avvenimento che ha tracciato la frontiera fra un'epoca e l'altra. Dopo di allora, il paese non è più stato lo stesso. E' iniziata la lunga stagione del terrore, durante la quale la politica di esclusione e di repressione nei confronti degli indigeni maya è diventata persecuzione sistematica di qualsiasi individuo o gruppo considerato potenzialmente 'pericoloso', ed è sfociata nello sterminio di intere comunità - compresi i bambini - ritenute in qualche modo vicine alla guerriglia o comunque coinvolte nella resistenza al regime. Quell'avvenimento è il massacro compiuto il 31 gennaio 1980 dalle forze speciali e dalla polizia nell'ambasciata spagnola di Città del Guatemala. Quel giorno, un gruppo di contadini del Quiché aveva occupato pacificamente la sede diplomatica chiedendo di rendere pubblica, anche nella capitale, la persecuzione messa in atto dalla dittatura nelle campagne. L'ambasciatore Maximo Cajal aveva avuto notizia delle repressioni dai religiosi suoi connazionali che svolgevano la loro missione nelle zone del conflitto. Per questo aveva accettato di incontrare la delegazione dei contadini. Ma l'improvvisa irruzione delle forze di sicurezza mutò bruscamente la situazione: nonostante le proteste e la disperata resistenza di Cajal, che si appellava al principio dell'immunità diplomatica, i poliziotti abbatterono le porte e appiccarono il fuoco all'edificio dove morirono trentasette persone. Due soli sopravvissero, l'ambasciatore, che poi fuggì dal paese, e un indigeno. Quest'ultimo però venne sequestrato nell'ospedale in cui era stato ricoverato e ucciso. Nell'elenco dei morti, compare il nome di Vicente Menchù, un contadino del Chimel, un cristiano impegnato nella lotta contro i suprusi e le ingiustizie subiti dalla sua gente, che aveva già avuto un figlio assassinato dall'esercito. Vincente Menchù era il padre di Rigoberta, che nel 1992 avrebbe avuto il premio Nobel per la Pace e che proprio da [...]