Ha avuto ragione Warhol: abbiamo avuto tutti i nostri quindici minuti di celebrità. Facebook è divenuto il terreno su cui giocare la partita della nostra credibilità sociale, della fondatezza delle nostre opinioni, dei nostri gusti, della nostra esistenza. Su quel palcoscenico ognuno è disposto a cedere qualcosa di sé, della propria intimità o del proprio estro creativo o intellettuale, affinché l'applauso del pubblico risuoni fragoroso. La ricerca del consenso è parte costitutiva di quell'io social che è la derivazione virtuale dell'io sacro moderno, che da Durkheim a Goffman è servito a spiegare l'ordine sociale e l'intersoggettività. La sacralità dell'io resta l'unico collante rituale, il residuo liturgico di un lungo processo di laicizzazione delle nostre visioni del mondo. Ma il culto dell'individuo su Facebook si esaurisce nella spettacolarizzazione oppure la non compresenza fisica introduce nuovi rituali interazionali? Il volume, attraverso la microsociologia di Erving Goffman, analizza proprio le strategie di rappresentazione che ogni utente deve effettuare per tenere alte le luci della ribalta e per essere credibile nei panni di se stesso.