"Giacché io ti benedirò grandemente e renderò la tua stirpe numerosa come le stelle del cielo e come la rena sulla sabbia del mare...", così recita il testo sacro che Leon Hiddekel ha fedelmente esaudito mettendo al mondo con la moglie Ida ben dieci figli. Sulla scia dei favolosi cavalieri cazari, guerrieri e artisti che abitano la tradizione ebraica orientale, Saul, Salomon, Benhumin, Sarita-Juana, Rafael Alberto, Pinye, Clara-Feige, Gabriel, Rachel, Nora, sono destinati dal padre, appassionato cultore di quelle leggende e musicista mancato, a un grande avvenire. A Salomon, il secondogenito di appena due anni, verrà regalato un pianoforte. "Perfino Mozart ha cominciato a suonare a tre anni", protesta Ida. "Ma - ed è Leon a ribattere - Mozart non era ebreo". Comincia così l'affascinante saga che narra le vicende di due famiglie ebree immigrate in Argentina dall'Europa dell'Est all'inizio del secolo, gli Hiddekel e i Gurman, i cui destini si legheranno insieme nel corso del romanzo. Scritto in una lingua sontuosa in cui s'intrecciano virtuosamente ebraico, spagnolo e jiddish, a cavallo fra realismo magico, storia e leggenda, questo primo romanzo della giovane scrittrice israeliana Gabriela Avigur-Rotem è stato giustamente paragonato a Cent'anni di solitudine di Garcìa Marquez, con cui l'autrice condivide la capacità di creare un'immaginaria ed epica comunità che, come quella di Macondo, a lettura ultimata diventa difficile da dimenticare.