Fino al secolo scorso, gli scritti inerenti il museo tendevano più che altro a forme di cultura manualistica. Nell'esplicitazione delle tipologie, dei percorsi, dei concetti di illuminotecnica. Tutto ciò finché si è pervenuti al fondamentale evento ricostruttivo dei musei italiani, successivo al secondo evento bellico mondiale, dal quale fu evidenziato il limite di un'interpretazione prettamente pragmatica, che fosse rivolta esclusivamente a finalità conservative e rappresentative. Le distruzioni dopo la guerra non risparmiarono i grandi musei. A porre rimedio ad esse si iniziò fino dagli anni cinquanta, quando fu dato inizio ai primi interventi. Allorché la cultura del conservare e dell'esporre nel museo prese spontaneamente ad intersecarsi con il senso dello spirito critico appartenente alle problematiche del restauro. Assumendo da quell'ambito una speciale sensibilità per le esigenze di riconoscibilità dell'autentico e dell'originale, e per quelle inerenti le metodologie integrative delle lacune. La ricchezza di modalità attuative nel museo in quei mitici decenni passavano per i progetti di Scarpa, di Albini e degli altri che da allora si prese a riconoscere come "I Maestri della Museografia", prettamente italiani, ma in grado di estendere la loro influenza in tutto l'ambito internazionale. SANDRO RANELLUCCI, in un breve periodo funzionario nella carriera direttiva delle Soprintendenze, continuativamente Docente di ruolo di Restauro architettonico nel Campus di Chieti, incaricato di Museografia a Valle Giulia e nell'Università Internazionale dell'Arte, autore di numerosi studi in saggi monografici, deriva dalle occasioni di dialogo con Leonardo Benevolo, PierLuigi Cervellati, Paolo Marconi il senso di una fondativa linea interpretativa comune.