C'è per il libro di poesia, un "test" di collaudo molto attendibile: che sarà da ritenersi positivo quando il lettore arrivato all'ultima pagina senta il bisogno e soprattutto il desiderio di ricominciare daccapo. Non tanto per capire meglio, perché ha capito già tutto d'istinto, quanto per riattraversare quel groviglio di illuminanti emozioni in cui è stato preso. Così è accaduto a me per questo libro di Cosimo Ortesta che, pur avendo io assistito al suo formarsi poesia dopo poesia, mi sorprende e mi affascina nella sua forte, compiuta interezza. "Nel progetto di un freddo perenne", scandito in tre parti che tenderei a considerare come le tre "cantiche" di un unico poema di amore e dolore, di "strage" e tenerezza, di incarnazioni nella parola, è uno di quei libri che letteralmente consacrano una personalità di poeta e la impongono. Specialmente quando, come nel caso di Ortesta, essa sia andata costruendosi attraverso una solitaria milizia e un coerente disciplina per approdare, in un crescendo di fasi successive e diverse, dalla sperimentazione prosodico-verbale delle primissime prove al farsi di un "racconto continuo" in cui i frantumi di un esistente individuale si proiettano verso una gamma di referenti "ad libitum", tanti quanti siano i lettori e le situazioni di lettura.