Dopo trent'anni, Emilio Isgrò ritorna alla poesia. L'età della ginnastica, i suo precedente libro di versi, era infatti apparso nel 1966, segnalando un autore di punta fra i giovani poeti di allora. Ma Isgrò non è certo un personaggio che ami seguire strade prevedibili, o che si accontenti di una sola modalità espressiva. Tanto che per decenni, e con grande successo, si è mosso in un campo artistico molto ampio, praticando le vie della poesia visiva e della pittura, del romanzo e del teatro, secondo le esigenze e il temperamento inquieto di un autore di avanguardia del tutto indipendente e anti-ideologico. Con Oratorio dei ladri Isgrò riprende i fili della sua prima vocazione e si impone per la pienezza energica del linguaggio, per i contorni netti delle sue figure, per la vitalità comunicativa, ma anche per la capacità che dimostra di aver saputo assorbire, e talvolta anticipare, altre esperienze del suo percorso articolato, e in primo luogo del teatro. Isgrò è inoltre profondamente radicato nella sua terra e nelle sue origini, e Oratorio dei ladri lo conferma. Ma queste origini sono una centralità che non si placa e non si appaga di se stessa, che è al contrario dirompente e aperta, che è al tempo stesso mito e futuro. Per questo Isgrò va dalla tradizione del dialetto all'invettiva contro un presente che avvilisce l'arte o tenta di seppellirla, opponendo una reazione biologica, facendosi grande "puparo" e riaffernmandosi come poeta.