Questo volume, che raccoglie i racconti di Tabucchi del decennio 1981-1991 ("Il gioco del rovescio", "Piccoli equivoci senza importanza", "L'Angelo nero") oltre ai racconti sparsi "Il gatto dello Cheshire" e "Vagabondaggio", è arricchito da due racconti inediti di recentissima scrittura sul tema del trascorrere del tempo ("I morti a tavola" e "Il penoso caso del signor Silva da Silva" e "Silva") che costituiscono l'anticipazione di una nuova raccolta ancora in fieri. Nella narrativa tabucchiana di quegli anni il rebus, l'equivoco, il rovescio e il mistero, come ha scritto Flavia Brizio-Skov, tendono a sovvertire l'idea di un universo razionale, dove nulla è sicuro e dove risulta evidente l'impossibilità di arrivare a un'unica verità. Ripercorrere oggi l'opera in raccolta consente di individuare le radici dell'originalità e della complessità narrativa di Tabucchi e allo stesso tempo offre la possibilità di mettere in luce il delinearsi della cifra stilistica fondamentale in tutte le sue opere successive. Così, nel "Gioco del rovescio", dove il reale presenta la propria inaccessibilità e dunque l'impossibilità di una soluzione, il 'rovescio' appare appunto come cifra e metafora di multiple soluzioni possibili, rivelando l'essenza sorprendente e inafferrabile della vita. Un libro "nato dalla scoperta che una certa cosa che era così, era invece anche in un altro modo", un libro "dettato dalla meraviglia, ma dire dalla paura, forse, sarebbe più esatto" (Antonio Tabucchi). Nei racconti di "Piccoli equivoci senza importanza", che a una prima lettura sembrerebbero avventure esistenziali, ritratti di viaggiatori della vita ironici e disperati, l'apparente sintonia fra il reale e il narrato, o meglio fra l'avventura vissuta e il suo senso, diventa all'improvviso turbamento e sconcerto, come per uno spaesamento epistemologico, una sorta di doppiaggio fuori sincronia, come quando le parole pronunciate non corrispondono ai movimenti delle labbra di chi le pronuncia. Infine nell'"Angelo nero", racconti con una tonalità gotica di aspra e misteriosa bellezza, l'apparente banalità della situazione iniziale si trasforma in un crescendo da incubo, come se una crepa improvvisa si aprisse nella normalità quotidiana lasciando entrare un vento funesto che spazza via ogni cosa con l'ala gelida del maleficio. Se Tabucchi 'ruba' le sue storie dal vissuto, come ha scritto Bernard Comment, allo stesso tempo costruisce un'estetica del frammento collezionando istanti che si manifestano attraverso lampi, intuizioni, epifanie, lasciando al lettore libertà di decifrazione. E' proprio secondo l'estetica del frammento, nella grande tradizione di Baudelaire, Benjamin e Nietzsche che Tabucchi apre un mondo "generando scintille e illuminazioni che si riverberano sull'esperienza" (Remo Bodei) e inventa una grammatica narrativa 'cinematografica' dove contemporaneità, successione e simultaneità sono usate per smantellare il protocollo della letteratura realista. È un pensiero in movimento dove l'intensità della parola, il 'rovescio' che consente soluzioni multiple, l'inafferrabilità del reale, lo sconcerto degli equivoci aprono uno scenario di straordinaria profondità e rendono ragione di una coscienza critica allarmata e che allarma.