Kawabata Yasunari (1899-1972), uno degli autori giapponesi più noti al lettore occidentale, ha saputo far coincidere nella scrittura l'eredità della grande tradizione estetica giapponese e le più attuali riflessioni sulla letteratura elaborate dai movimenti d'avanguardia europei. La parola come pennellata suggestiva capace di fissare in un tratto di scarna liricità ogni più minuta percezione del mondo era già della letteratura di epoca Heian (VIII-XII sec.), ma Kawabata ne fa il vessillo della nascente "Scuola della nuova sensibilità" e, rompendo con i modi dell'ormai stanco naturalismo autoctono, propugna una scrittura che privilegi la ricerca formale e l'impatto "sensoriale" delle cose.
Ho letto ''Suggestioni e artifici'' in punta di piedi. La bellezza della scrittura di Kawabata sta nella sua fragilità: impossibile da descrivere, spiegare o commentare. Tutti questi racconti hanno qualcosa di asimmetrico, di incompleto. Sono stanze vuote che risuonano solo quando vengono visitate da una voce. Durante la lettura, tutt'a un tratto, senza preavviso, si avverte un rintocco, qualcosa che si muove nel profondo. Allora gli occhi si sollevano dalla pagina e la bocca si atteggia ad un lieto stupore. Sto pensando a racconti come ''Il mare'', ''Il porto'', ''I canarini'', ''Il punto di vista del figlio'', ''La virtù sotto un tetto''...
Uno dei miei desideri irrealizzabili è poter rileggere i racconti in un palmo di mano come se fosse la prima volta.
Guido Cupani - 17/04/2004 02:24