Dopo aver messo in questione, nel "Mito dell'analisi", i fondamenti della terapia psicoanalitica, Hillman ha compiuto in questo suo libro, che è del 1975, il passo decisivo per ricondurre la psicologia al suo significato di 'discorso dell'anima'. Perché si apra la possibilità di questo che è "il luogo dei viaggi" occorre risvegliare la mente alla dimensione dell''immaginale', a un modo di percepire la vita delle immagini che è stato considerato con sempre maggiore sospetto nel corso della storia della nostra cultura: così l''imaginatio vera' degli alchimisti, regina delle facoltà, è finita per diventare la 'folle du logis', nella celebre formulazione di Malebranche. Per Hillman il luogo dell'anima non è innanzitutto quella torretta di controllo, abitata di un 'io' sempre vigile e accigliato, che tanti analisti vogliono rinforzare, ma una casa piena di voci e di stanze, dove si alternano ospiti disparati, insidiosi e seducenti. Ciascuno di questi ospiti è 'una parola che è una persona' - e l'attività peculiare della psicologia per Hillman, quel 'fare anima' di cui ha parlato Keats, è proprio il tentativo di riconoscere le persone (dèi, angeli e demoni) che nelle parole si celano. Dinanzi alla novità radicale di questa visione, che si appella non solo a Jung ma al grande romanticismo tedesco e al rinascimento ermetico e mnemotecnico di Ficino e di Bruno, molte tendenze psicoanalitiche e psichiatriche degli anni recenti si rivelano nella loro fondamentale inconsistenza. Il discorso dell'anima è un 'pathos', un doloroso districarsi, un operare oscuro: di tutto questo ben poco ci hanno saputo dire sia le varie specie dell'antipsichiatria, che hanno accollato ogni male alla 'società cattiva', sia le molte scuole analitiche che, sulla base di una edulcorata mistica della naturalezza, celebrano la spontaneità e il sentimento. Per vie opposte, si tratta ogni volta di tentativi di aggirare il vero luogo del pericolo e dell'emozione, che è l'anima stessa, con i suoi dèi [...]
Lo sto leggendo e sono a tre quarti del libro. Mi piace moltissimo e mi ha aperto gli occhi. A chi si è irrigidito in teorie psicologiche, può sembrare inconcludente, proprio perché si aspetta una serie di dogmi e schemi scientifici entro i quali identificare psicopatologie, ma questo è ciò che l'autore non vuole realizzare poiché sono metodi che spesso portano scarsi risultati mentre, il sistema, spiegato nel suo testo e identificato nel concetto di "fare anima", insiste, nell'analisi psicologica, su un metodo misto di empatia tra analista e analizzando, psicologizzazione degli eventi per esperire e giungere assieme alla visione psichica dell'archetipo e, infine, al Dio che domina lo stato psichico del "paziente", che ha escluso altri Dei o altri modi, idee e prospettive di visione della vita e delle cose, limitando così ulteriori possibilità di uscire da problematiche createsi proprio a causa di una visione "monoteistica". Accompagnare e vivere assieme il percorso è il "fare anima", vivere la patologia, patologizzare empaticamente per comprendere l'emozione e la prospettiva di visione psichica in atto nel paziente. In questo modo il paziente si rende conto, esperendolo, che la sua situazione è soltanto una delle tante prospettive possibili, costituita da idee che si sono potenziate e che hanno oscurato le altre e che, in fondo, l'Io, anche quando è convinto di essere assolutamente padrone di sé, in realtà è sempre soggetto alla forza di un'idea archetipica inconscia.
Anonimo - 28/04/2010 15:11