"Con il lavoro che ho scelto di fare, mi aspettavo che la mia vita sarebbe stata diversa. Mi immaginavo lunghe giornate a leggere manoscritti che avrebbero cambiato la storia della letteratura, conversazioni rivoluzionarie in fumose bettole del centro storico con scrittori leggendari, illuminanti riunioni di redazione che sarebbero proseguite con memorabili serate in trattoria. Avevo creduto di poter ripetere facilmente l'esperienza del "New Yorker" di William Shawn, della Shakespeare & Company di Sylvia Beach, della City Lights di Ferlinghetti, dell'Einaudi di Vittorini-Calvino-Pavese. Avevo dimenticato che l'editore non è solo un appassionato di libri, un animatore culturale, ma è fondamentalmente un imprenditore, con tanto di partita iva, obblighi fiscali e bilanci depositati."
Simpatico il gioco intellettuale delle citazioni
nascoste e dei rimandi ad altri libri.
Ha fatto bene l'autore a non cedere al gusto
epigrammatico alla fine di ciascun paragrafo!
Ciò nonostante in alcuni paragrafi la parte finale
era l'anello debole del periodo.
Il problema maggiore, però, ritengo sia la
punteggiatura.
Ci sono centinaia di manuali discordi, i linguisti
litigano aspramente, Hemingway e amici li conosciamo,
ma tutto ciò non può costituire una valida scusa per
lasciare come dittatrice inarginabile la virgola.
Alcuni periodi sbrodolano in coordinate, il punto
arriva dopo infinite apnee e, sopra ogni cosa, la
sfilza di incidentali smaglia il filo del discorso;
in un paio di punti scadendo, addirittura, in
sciatteria.
Consiglierei di leggere "Refusi" in metropolitana
o in coda alla posta.
Giudizio sintetico: semplice, tuttavia non privo
di spunti interessanti per chi avesse curiosità
circa il lavoro in una casa editrice.
Anonimo - 09/08/2009 02:30