Quando il grande antropologo Claude Lévi-Straus vi soggiornò, negli anni Trenta, San Paolo era una città in velocissima, tumultuosa, continua trasformazione. Una città osservata con lo stesso metodo, la stessa attenzione scrupolosa, lo stesso trasporto con cui Lévi-Strauss osservava le tribù degli indios brasiliani: i grattacieli come animali esotici, i percorsi delle strade come enigmatiche simbologie, i quartieri come misteriose ed elettrizzanti "strutture", la natura esuberante come promessa di felicità e al contempo di saudade. Una città viva, pulsante, meticcia; timida e insieme sfrontata, italianissima eppure americana, postmoderna e vecchia, ora familiare, ora incredibilmente estranea, San Paolo è la città che forse meglio di tutte sa interpretare il flusso, le istanze, il ritmo della modernità.