Il fincipit è un gioco semplice e meravigliosamente divertente. Si prende l'incipit di un'opera famosa, sia essa un romanzo, una poesia o una canzone. E proprio nel bel mezzo della sua solennità, si inserisce una frase, un verso, un colpo di frusta comico che la porta inesorabilmente verso una conclusione brusca ed esilarante. Per capirsi meglio, il fincipit del "Moby Dick" di Melville è: "Chiamatemi Ismaele, /che io non c'ho campo". Quello della "Pioggia nel pineto" di D'Annunzio: "Taci. / Ti puzza l'alito". E passando alle canzoni si può spaziare da "Alice guarda i gatti / e i gatti: - Be'?!", a "Maramao perché sei morto? /- Cirrosi", fino a "Ecco, la musica è finita /gli amici se ne vanno /e adesso /chi li lava tutti quei cazzo di bicchieri?" La parola 'fincipit' nasce dall'unione di 'fine' e 'incipit' o se preferite come contrazione di 'finto incipit'. E il gioco che tutti gli studenti hanno fatto almeno una volta, e che grazie alla creatività diffusa di Internet e a un blog di grande successo si è moltiplicato fino a diventare un fenomeno di massa. Forse perché, oltre a far ridere a crepapelle, è anche uno strumento di vendetta verso quegli autori e quelle opere un po' troppo ingombranti. Forse perché con il fincipit si può finalmente dar fuoco a quello che si illumina di immenso, arrestare le prostitute di via del Campo, far scivolare il passero solitario da in su la vetta della torre antica.