«A Manhattan i primi apparvero anni fa, ma all'inizio
erano solo una curiosità, una stravaganza, un esotismo
per turisti. I rickshaw o risciò, le carrozzine
trainate da un uomo a piedi o che pedala su una
bicicletta, sono da due secoli un elemento fisso nel
paesaggio urbano in Estremo Oriente, da Hanoi a
Pechino. In Asia furono a lungo un simbolo di sfruttamento
e oppressione. Ma a New York il loro numero
cresce a vista d'occhio e non evocano certo
sofferenza fisica: i guidatori di risciò americani sono
giovanotti ' e spesso anche ragazze ' muscolosi e
abbronzati. È un impiego part-time che attira gli studenti
in un mercato del lavoro stremato dalla recessione.
Nella bella stagione all'aria aperta stanno meglio
loro dei poveri tassisti intrappolati nella lamiera.
Quando iniziano le piogge e il traffico impazzisce, il
conducente di risciò indossa impermeabile giallo e
galosce, allarga il tettuccio di plastica, e trasforma il
suo veicolo in un mezzo ancora più competitivo per
chi ha fretta. Nella giungla d'asfalto il risciò supera
le auto, s'infila in mezzo alle corsie, prende le scorciatoie.
Emissioni di CO2: zero. Inquinamento acustico:
zero, i risciò hanno un campanello da bicicletta,
il rumore massimo che producono è l'ansimare del
conducente che pedala. È un esempio fra tanti di
'consumo frugale' che ci viene dall'Asia.»
Dopo la grande recessione che ha colpito il mondo
intero, l'Occidente si trova a fare i conti con un modello
di crescita rivelatosi fallimentare, centrato sulla
corsa al consumo e sull'indebitamento, che ha precipitato
i cittadini nel caos e nella paura. Ma se a
vacillare è un intero modello di vita, l'Occidente può
forse cogliere un'opportunità di salvezza guardando
a Oriente: a Paesi tornati a essere interlocutori imprescindibili,
in primo luogo Cina e India, ma non solo.
È qui che entra in gioco la Slow Economy: la via a
uno sviluppo diffuso e sostenibile. Volgendo sempre
lo sguardo a una millenaria saggezza orientale fatta
anche di risparmio e frugalità.
Federico Rampini ripercorre i luoghi e le storie in cui
Occidente e Oriente si sono lasciati contagiare reciprocamente,
in un avvincente viaggio nella memoria e nel futuro. Un cammino intrapreso per avvicinarci
a popoli e luoghi tanto remoti e allo stesso tempo
un tentativo di trarre da loro qualche suggerimento
che ci aiuti a trasformare l'uscita dalla crisi in una
autentica rinascita. Come la preziosa lezione del
Bhutan, piccolo Stato appollaiato sulle cime dell'Himalaya,
che sembra aver trovato un misuratore di
benessere «alternativo» rispetto al PIL, il FIL: la Felicità
interna lorda.
Federico Rampininasce a Genova il 25 marzo del 1956, ma si trasferisce sin da subito con la famiglia a Bruxelles, dove suo padre lavorava per la neonata Comunità europea.
Ha quindi la fortuna di frequentare la scuola europea di Bruxelles-Uccle, ma rientra in Italia nel 1974 per seguire l'Università Bocconi di Milano, dove studia Economia politica per quattro anni, senza conferire il titolo. Decide di trasferirsi all'Università La Sapienza di Roma, dove supera alcuni esami con
Una cosa è certa: di Slow Economy e di come rinascere con saggezza in questo libro, non se ne parla, se non in brevi accenni nell'introduzione e nella conclusione del libro. E' come se i capitoli centrali (quasi tutti) fossero stati affidati a ghost writer poco attenti che sono andati fuori tema in modo imbarazzante. Di tutto si parla, anche se il tema centrale, infarcito di moltissimi aneddoti e storie a volte interessanti, per il puro "gossip" di sapere cosa fa il cinese medio, è esattamente l'opposto: cosa fanno India e Cina per avvicinarsi all'occidente. Se fosse stato un tema a scuola, avrebbe preso due. Sconsigliato a chi vorrebbe parlare di Slow Economy.
Anonimo - 25/08/2010 23:53