Questi di Ansaldo non sono reportage di viaggio; come giornalista infatti viaggiò sempre costretto, dalla sorte o dalla professione, in prigionia oppure al seguito di Galeazzo Ciano o, infine, come direttore del «Mattino», su invito di compagnie aeree o istituzioni. In Francia, Germania, Ungheria, Unione Sovietica, Egitto, India, Inghilterra e Stati Uniti. «Per Ansaldo scrivere il diario equivaleva a celebrare una cerimonia alla quale, in qualsiasi parte del mondo si trovasse, convenivano la sua vita privata, gli affetti, i libri letti. Sono momenti in cui la solitudine risulta affollata. E se in generale prova per il mondo un diffuso senso di fastidio, Ansaldo trova una possibile riconciliazione nel piacere di scorticare i vivi e nel convocare la memoria come consolazione» (G. Marcenaro). Stenografie di viaggio, dunque; perché, seppur con la tentazione di ascrivere se stesso al novero dei tanto amati memorialisti, Ansaldo fa prevalere lo sguardo indagatore del giornalista: infittendo le proprie pagine di minuzie, curiosità, digressioni e testimonianze, con descrizioni puntuali, spesso desunte dalle guide; un affollato museo pittoresque di oggetti e caratteri ammirabili che l'autore aduna nella personalissima Wunderkammer del proprio immaginario: gli articoli di tutta una vita.