Uccidere il padre

La nostra recensione

Tutte le cose migliori hanno il grande difetto di durare poco. Un bicchiere di vino, una carezza, i baci - mai abbastanza lunghi -, una fetta di torta, un massaggio, i fine settimana, una tazzina di caffè, le ferie, le pause sigaretta, la gioventù. Tutte le cose migliori, quelle che ci piacciono di più, ci fanno stare bene, ci fanno sorridere, ci fanno piangere, ci attorcigliano le budella per l'emozione, ci rendono persone migliori, durano poco. Così sono i romanzi di Amélie Nothomb, brevi, concisi, veloci eppure creatori di farfalle nello stomaco. L'autrice nata in Giappone, figlia di diplomatici belgi, nomade da sempre, possiede il dono raro della sintesi che è difficile non apprezzare in questi giorni frenetici, multitasking, multilavoro e multistress. "Uccidere il padre" è il suo ultimo romanzo, il ventesimo. Ambientato negli Stati Uniti, tra i bar di Reno, i casinò di Las Vegas e lo spettacolare Burning Man, il libro racconta la storia di Joe Whip, un ragazzino con un grandissimo talento per i giochi di prestigio che si ritrova, a soli quindici anni, da solo, dopo essere stato messo alla porta da una madre bislacca. Il giovane Joe comincia a mantenersi con i suoi trucchi di magia intrattenendo i clienti dei bar di Reno fino a quando Norman Terence, il più grande mago della zona, lo accoglie in casa sua e inizia a fargli da mentore e, in maniera molto naturale, da padre.Inizia una relazione complicata, affascinante, intima, ma anche distante e imbarazzata tra allievo e maestro, una lunga partita a poker con i sentimenti, le rivalse, gli inganni e i grandi bluff. Uccidere il padre si legge in qualche ora, fagocitati dalla trama, senza mai staccare gli occhi dal libro, cambiando impercettibilmente posizione solo per evitare gli eventuali formicolii alle gambe, completamente assorti. Uno di quei romanzi che, come i migliori momenti di godimento, dopo aver girato l'ultima pagina, ti farà dire "breve, ma intenso".
Dania