Partiti a diciott'anni. Talmente impreparati, talmente ingenui da credere che insieme ce l'avrebbero fatta. Bartle è devastato dal senso di colpa. Per non avere impedito che Murphy morisse. Per non essere riuscito ad attenuare la brutalità e l'orrore della guerra. Ora che è tornato a casa, vede Murphy ovunque. Insieme alle altre immagini dell'Iraq: i cadaveri che bruciano nell'aria pungente del mattino, i proiettili che si conficcano nella sabbia, le acque del fiume che ha inghiottito il loro sogno. E il tormento per la promessa che non ha saputo mantenere non gli dà pace. "Il miglior romanzo che abbia letto sulla guerra: essenziale, incredibilmente preciso, perfetto. Probabilmente è il libro più triste che io abbia letto negli ultimi anni. Ma triste in modo importante. Dobbiamo essere tristi, profondamente tristi, per quel che abbiamo fatto in Iraq". (Dave Eggers)
La nostra recensione
“Era una piccola guerra bastarda”. E come può non esserlo una guerra? Può essere nobile, giusta, corretta? No, forse non può esserlo, in sé. È il suo racconto a essere nobile e giusto, come è stato da sempre nella cultura occidentale da Omero in poi, fino a Stendhal, Tolstoj, Remarque, Hemingway, e da noi Levi, Fenoglio, Pavese. D’altronde, senza la guerra - già lo dicevano lo stesso Omero ed Eraclito - c’è ben poco da raccontare; ed è vero: la guerra racconta sempre qualcosa di drammatico e drammatizzabile, perché non racconta solo di armi ma anche di anime, non s’odono solo spari e squilli di tromba ma parole ed emozioni vibranti. E anche dopo la sua inevitabile fine il dolore non termina e non si cancellano le ferite, che servono alla memoria per rigenerarsi e a chi scrive per trovare ‘argomento di canto’. Un canto che è elegia, catarsi e tragedia al tempo stesso, come nel romanzo di Kevin Powers, esordio potente di questo ex soldato americano in Iraq, che lascerà sicuramente un segno nella letteratura di guerra, per usare una categoria generica, e tutto sommato riduttiva. Eppure proprio in questa elaborazione narrativa della guerra si addensa tutto il carico esplosivo di drammaticità (parole, sensazioni, sguardi, corpi) su cui la scrittura, frammentata, poetica ed elusiva di Powers interviene per dare voce alla disperazione e alla paura, alla violenza e alla colpa. La vicenda dei soldati Bartle e Murphy - e sappiamo già dall’inizio che Murphy non ce la farà - è emblematica di migliaia di altre situazioni ma, andando oltre l’orizzonte della guerra, è rappresentativa soprattutto della tensione, a volte insopprimibile, che, come in battaglia, attraversa lo smarrito e sradicato mondo di oggi. Va il merito a Powers di aver raccontato tutto questo con una voce da cui sono assenti squallidi toni di cinismo (politico) e retorica (religiosa), ricorrendo invece a una delicatezza colma di poesia anche nei momenti di più agghiacciante realismo. Antonio Strepparola
Un libro straordinario, di quelli che lasciano il segno e ti ricordi per tutta la vita. Non è assolutamente un semplice romanzo, è un'opera d'arte, è poesia.
Finalmente un libro di guerra, sulla guerra, ma soprattutto su quello che la guerra ti fa provare, ti lascia e ti toglie.
Scritto in maniera divina, assolutamente da leggere e da far leggere.
Yellow birds
Claudio Driol - 28/05/2013 09:39
4/
5
Un bel romanzo sugli stati d'animo della guerra moderna
La guerra prova ad ucciderti ad ogni giorno che passi in sua compagnia e se non ci riesce poi, allora, ti cambia irrimediabilmente. Bellissimo questo romanzo di guerra, per nulla un gioco elettronico su carta, dove più che le sparatorie si analizzano gli stati d'animo di chi la guerra la fa. Per un ragazzo normale diventare soldato in Iraq è entrare in un nuovo costume di scena da cui poi non ti libererai più per tutta la vita, è vivere una vita fatta di infiniti attimi, istantanee dove cercare di restare vivi!!! Intenso ed emozionante.
marco martinazzi - 07/10/2013 22:09
Claudio Driol - 28/05/2013 09:39