"Autunno 1996. Il mondo della moda era in fermento: le voci del passaggio di un certo stilista di successo da Givenchy a Dior erano appena state confermate. Un 'giovane talento', come veniva chiamato Lee Alexander McQueen, stava per prenderne il posto. Ricordo che un addetto alle relazioni pubbliche mi porse una cartella e mi chiese: 'Cosa ne pensi?'. La cartelletta conteneva due soli fogli: due pagine strappate da una rivista, nient'altro. Le lessi. C'era quella parola, 'ragazzaccio', che sarebbe stata associata per sempre alla sua persona, e qualche fotografia. Ricordo l'acqua, modelle che camminano nell'acqua, pizzo nero e un collo alto che forse imprigionava o forse proteggeva il viso, impossibile a dirsi. Ricordo un colore particolare, un viola appena scolorito ma ancora acceso. Chiusi la cartella e pronunciai le altre due parole che sarebbero poi diventate ricorrenti: 'Forza e fragilità . Entrambe, due estremi; non sarà facile'. Lavoravo per Givenchy da diversi mesi. Scattavo fotografie nel backstage. Non assistevo alle sfilate vere e proprie, le vivevo dall'interno, cercando di trasmettere quello che vedevo: la bellezza di un istante effimero, l'evento unico, la parte di rabbia e la parte di poesia, quel momento fuggevole, perfetto ed esatto, il caos che in altre circostanze mi avrebbe messo in fuga. Quando scatti nel backstage non ci sono angolazioni, nessuno spazio per punti di vista privilegiati." (Anne Deniau)