E l'ottusa, spudorata tenacia con cui cerca l'attenzione dei padroni a definire il carattere di Gina, «avanzo di canile municipale» tenero e sproporzionato, in cui emotività e furbizia paiono incarnare l'essenza stessa della femminilità. Una sera, davanti a una sua specie di possessione, il narratore e la moglie credono di assistere a un evento cruciale. Potrebbe essere un'epifania, invece non offre alcun insegnamento, o loro sono refrattari a coglierlo. Vivere, d'altronde, significa alimentare la confusione, accorgersi che l'inconsapevolezza cresce giorno dopo giorno. Di fronte all'esistenza, non si può provare altro che stupore panico. In fondo, come i cani di d'Annunzio nella poesia che apre il romanzo e ne è il filo rosso, gli esseri umani sono «stupidi e impudichi», e al pari del vecchio poeta capiscono infine di non essere nulla. Tra conversazioni domestiche, uccellini in gabbia, passeggiate sui marciapiedi reggendo un guinzaglio e scatole di farmaci la cui «profonda giustizia» ripara dal disordine senza rimedio del mondo, l'autore costruisce un romanzo digressione... Introduzione di Sandro Veronesi.
Emanuele Trevi, figlio di genitori psicoterapeuti, ha fatto il suo ingresso nel mondo della scrittura nel 2003 con il romanzo "I cani del nulla", pubblicato da Einaudi. Direttore creativo alla Fazi editore e curatore di diverse opere, ha anche collaborato alla pubblicazione di scritti di autori come Giacomo Leopardi, Emilio Salgari, John Fante e altri.
La sua carriera letteraria è stata contrassegnata da numerosi successi, tra cui la nomination al Premio Strega nel 2012 con "Qualcosa di scritto", che ha ottenuto anche il Premio Boccaccio. Ha