"L'Italia non è soltanto un capitalismo di piccola impresa. È molto di piú. Infatti, la piccola impresa italiana compete sul mercato non tanto perché è piccola, ma grazie alla sua straordinaria capacità di sfruttare i vantaggi della divisione del lavoro e della condivisione di conoscenze, mediate da relazioni interpersonali e dal capitale sociale sedimentato sul territorio. Inoltre, la piccola impresa è moderna e compete sul mercato perché mette direttamente in gioco la forza vitale delle persone che la animano, prima di tutto dell'imprenditore e delle reti interpersonali che lo collegano ai dipendenti, ai finanziatori, ai fornitori, ai clienti. Il capitalismo italiano è, dunque, qualcosa di piú e di diverso da un capitalismo di piccola impresa. È un capitalismo personale, basato sulle persone e sulla loro capacità di intraprendere, condividendo progetti, assumendo rischi, investendo risorse personali e familiari nella grande avventura". L'espressione "capitalismo personale" mette insieme due termini contraddittori, che in passato si è cercato di separare. La natura impersonale del capitale - considerata sinonimo di modernità - lo identificava strettamente con l'ambito dell'azienda, mentre la persona apparteneva allo spazio proprio della vita privata, nettamente distinto dall'ambito tecnico della produzione. Oggi però il capitale ha sempre piú bisogno delle persone, che si impegnino nelle aziende utilizzando al meglio le proprie capacità e sviluppando autonomie crescenti: una grande opportunità, non indenne tuttavia da rischi e sofferenze. Sommando diverse categorie, la metà del lavoro prestato oggi in Italia è riconducibile, secondo le stime del Censis, a figure di "capitalisti personali". Si tratta di una vera e propria rivoluzione, che Bonomi e Rullani documentano ricorrendo alle stesse parole dei protagonisti.