L'appassionante vicenda di Edmond Dantès che, ingiustamente condannato e imprigionato, riesce a vendicarsi dei suoi nemici grazie al tesoro dell'abate Faria, conserva ancora oggi inalterato tutto il suo fascino, continuando a ispirare riduzioni cinematografiche e televisive. Pubblicato per la prima volta en feuilleton sul "journal des Débats" nel 1844, dopo il clamoroso successo dei "Misteri di Parigi" di Eugène Sue, "II conte di Montecristo" seppe conquistare, fin dalle prime puntate, migliaia e migliaia di lettori, facendo diventare di colpo Edmond Dantes uno dei "supereroi" più amati dalla fantasia popolare e Alexandre Dumas uno degli scrittori più letti, non solo in Francia. Straordinario manipolatore di intrecci, Dumas costruisce con estrema abilità una vicenda ricca di imprevisti e di colpi di scena; spaziando dalle cupe segrete del Castello d'If alle catacombe romane, dalla Parigi del grand monde all'Oriente, dipinge un fedele ritratto della società della restaurazione dominati dal potere del denaro, con un'efficacia degna di Balzac.
Non è stato durante il matrimonio, ma durante il pranzo di fidanzamento che gli hanno rovinato la vita. Dopo lunghi anni di attesa e di preparazione, ritornerà per vendicarsi dei suoi nemici. I cattivi non fanno più squadra, si sono divisi: alcuni sono stati fortunati, altri meno, alcuni si sono pentiti e altri per niente. Li cercherà, li stanerà e li affronterà uno a uno, dal pesce più piccolo al più grande. Scorrendo la sua death list, lascerà per ultimo il cattivo più importante e più malvagio. Non è la storia di Kill Bill, è la storia de Il Conte di Montecristo. Il debito di Quentin Tarantino nei confronti di Alexander Dumas è innegabile, e non è un caso che il genio di Knoxville citi l'autore francese in una delle più curiose conversazioni di Django Unchained. Il protagonista di Montecristo, Edmond Dantès, da giovane sprovveduto e marinaio di belle speranze, cade in disgrazia. Dovrà attraversare tutte le tappe obbligate nel viaggio di un eroe (anni prima che venissero canonizzate da Christian Vogler) per ottenere la sua vendetta che, si sa, è un piatto che va servito freddo (vecchio proverbio Klingon). Edmond trova il suo mentore nell'abate Faria che, come nella più classica delle tradizioni, è un po' matto (almeno per gli altri). Faria addestra Edmond e lo instrada verso il grande viaggio. Lo attendono un'avventura e un tesoro oltre il Castello d'If. L'evasione e il tuffo in mare rappresentano il vero spartiacque fra il secondo e il terzo atto, a circa 150 pagine dall'inizio. Lungo il suo viaggio Edmond affronta prove di vario genere, incontra amici (l'armatore Pierre Morrell) e nemici (la death list si compie). Alcune situazioni, e persino vocaboli, sono ripetuti all'eccesso, giusto per allungare la minestra. Senza bisogno di voltare pagina, a volte la fine del capitolo è telefonata dal frettoloso riepilogo che fa l'autore sulla sorte dei personaggi. Entrambi gli stratagemmi (quello della ripetizione e quello del riepilogo) sono obbligati nella scrittura a puntate da fuelletton. In questo Dumas, papà non solo dell'altro Dumas ma di tutti gli showrunner moderni, è maestro: sa bene come dilatare le attese, come creare la suspense, e soprattutto come umiliare i suoi personaggi per infine farli trionfare (Il trono di spade ringrazia). A chi contesta a Dumas che avrebbe potuto scrivere Il Conte di Montecristo in molte meno pagine, si risponde che sarebbero state senz'altro meno belle. Insomma, dopo l'evasione, pensiamo che Edmond farà presto piazza pulita dei suoi nemici. Invece no, perché, come dice lui stesso, la vendetta va meditata. Va lentamente somministrata per ricompensare chi l'ha fatto soffrire. Insomma, va servita fredda (il proverbio Klingon di cui sopra). Un semplice delitto sarebbe per il carnefice solo una vendetta senza alcun godimento. Se la trilogia di Matrix era interessante nel suo primo episodio finché Neo non è diventato Dio, e lo era meno nei seguiti in cui il protagonista è già Dio, Dumas prevede tutto ciò e prende le distanze da Edmond perché, una volta scoperto il tesoro e divenuto Conte, si è fatto pressappoco Dio. Pertanto Dumas decide di rimanere su una prospettiva bassa, e sceglie quella di due damerini francesi in visita a Roma. Una città, Roma, che lo scrittore ha amato profondamente. Due damerini, Albert e Franz, usati unicamente per introdurci attraverso i loro occhi meravigliati alle nuove strepitose fattezze di Edmond. Adesso egli è ricco e potente, ed ecco che si dispiega il piano della vendetta. Il Conte di Montecristo, senza mai rivelare la sua vera identità, trova il primo e più piccolo dei nemici. Si traveste da abate, ovvero come il suo mentore, per fare da mentore a terzi. Concede il perdono a Gaspard Caderousse sottoforma di diamante. Esattamente come la Sposa concede una tregua a Vernita Green, la più debole dei suoi avversari in Kill Bill.
librisenzagloria - 02/05/2018 17:36