Un'opera inedita di Fernando Pessoa, l'unico manoscritto attribuito al 'Barao de Teive', un altro dei suoi numerosi eteronimi. L'intimo dissidio fra intelligenza e moralità, il peso dei retaggi sociali e il fascino della solitudine, la mancanza di fede, sia nelle religioni sia nella religione della modernità: il progresso. In questo diario di un suicida, le riflessioni che si susseguono si stagliano alla luce di un'azione che deve compiersi. Non dunque una meditazione filosofica astratta, ma lo snodarsi di pensiero a corroborare, a confermare teoricamente una scelta radicale: quella di rinunciare a vivere. Con grande puntigliosità analitica, il Barone di Teive ripercorre in queste pagine i passaggi teorici che l'hanno portato alla decisione del suicidio. Discute le differenze del suo pensiero rispetto a quello di Leopardi e di altri grandi poeti pessimisti. Esprime tutta la sua insofferenza verso l'infelicità lacrimosa che nasconde egoismo e invidia, o spesso solo insoddisfazione sessuale ("'Io sono timido con le donne, quindi Dio non esiste' è una metafisica assai poco convincente"). Alle misere sofferenze personali il Barone contrappone un orgoglioso silenzio. Il suo è un rifiuto elaborato sotto il dominio della ragione e nel segno di un atteggiamento stoico, quasi ascetico. "Ho raggiunto, credo, la pienezza dell'impiego della ragione. Ed è per questo che mi ucciderò".