Il più grande luogo di villeggiatura del mondo. Questo per me è Roma. Le lagne disfattiste, i lamentosi, le persone aduse al mugugno, tutta una costellazione di esseri umani che non fa altro che paragonare Roma con Londra, Parigi e New York e vederla eternamente sconfitta. Mai una volta che si ricordino di confrontarla, che so, con certe grigie capitali industriali e scorgerla vittoriosa. Ma ho il sospetto costante che tenere viva, a mo' di chiacchiericcio salottiero, la pars destruens delle cose sia un'attività facilona e redditizia. Si rischia anche di passare per intellettuali inesorabili e spregiudicati. A me questo ruolo non è mai piaciuto. Ho sempre frequentato un piccolo, pudico pensiero: che a vedere il male dovunque si rischia di diventare davvero qualcosa che ha a che fare col male, o quantomeno di diventare, agli occhi di noi stessi, inospitali. Insomma, mi sono accanito giorno e notte a fare film non per puntare facilmente il dito contro ciò che non va, ma l'ho fatto per cercare la bellezza e il sentimento dappertutto. Anche nelle cose che, nell'opinione dominante, non vanno bene. A Roma c'è una bellezza oggettiva, sta nelle cose, nelle architetture, nella visibile stratificazione dei secoli e poi c’è una bellezza nascosta, talora invisibile. Quest’ultima, sosta nelle persone. (Dal saggio introduttivo di Paolo Sorrentino). Foto di scena di Gianni Fiorito.