Un tema tanto decisivo e attuale quale quello della maternità, in un momento in cui anche il decisore politico è chiamato a deliberare su questioni delicatissime ad esso connesse, può essere affrontato da molteplici prospettive. Come certo modesto contributo a un confronto che meritoriamente valica i confini tra le discipline e i dipartimenti, vorrei proporre in questa sede alcune riflessioni intorno a un testo straordinario, che Umberto Galimberti ha definito, a ragione, «un'opera che ha attraversato quasi tutti i campi della cultura ottocentesca e che non ha finito di essere una bibbia a cui le più svariate scuole di pensiero ancora si rifanno». Opera monumentale che, si può aggiungere senza tema di smentita, è molto più citata che effettivamente letta e conosciuta: un vero classico dunque, che rispecchia appieno una delle caratteristiche da Italo Calvino riconosciute ai caposaldi della tradizione culturale: «I classici sono libri che quanto più si crede di conoscerli per sentito dire, tanto più quando si leggono davvero si trovano nuovi, inaspettati, inediti». Si tratta, come si è potuto agevolmente intuire, di Das Mutterrecht, «Il Matriarcato», l'opera maggiore dello storico e antropologo di Basilea Johann Jakob Bachofen, considerato anche uno dei fondatori della storia comparata del diritto. Data alle stampe nel 1861, tradotta integralmente per la prima volta da Furio Jesi e Giulio Schiavoni per Einaudi nel 1988, questa «ricerca sulla ginecocrazia del mondo antico nei suoi aspetti religiosi e giuridici» ha attraversato la storia culturale europea di volta in volta come modello archetipico o come polo polemico, trovando tuttavia conferma alla sua impostazione di fondo nelle più recenti acquisizioni dell'antropologia culturale.