Quattro pensionati - un giudice, un avvocato, un pubblico ministero e un boia - ammazzano il tempo inscenando i grandi processi della storia: a Socrate, Gesù, Dreyfus. Ma certo è più divertente quando alla sbarra finisce un imputato in carne e ossa: come Alfredo Traps, rappresentante di commercio, che il fato conduce un giorno alla villetta degli ex uomini di legge. La sua automobile ha avuto una panne lì vicino, ma lui non se ne rammarica, anzi: pregusta già il lato piccante della situazione. Si ritrova invece fra i quattro vegliardi, che gli illustrano il loro passatempo. L'ospite è spiacente: non ha commesso, ahimè, nessun delitto. Come aiutarli? Niente paura, lo rassicurano: "un crimine si finisce sempre per trovarlo". E se la colpa non viene alla luce, la si confeziona su misura: "bisogna confessare, che lo si voglia o no, c'è sempre qualcosa da confessare". Tra grandi abbuffate e abbondanti libagioni, il gioco si fa sempre più pericoloso, finché il piazzista si avvede d'essere non già un tipo banale, mosso solo da meschine aspirazioni di carriera e sesso, bensì un delinquente machiavellico, capace di usare la sua amante come un'arma infallibile contro il superiore cardiopatico.
Quattro vecchi amici, durante una cena, inscenano per gioco un processo al loro casuale convitato, Alfredo Traps, agente di commercio, la cui automobile è rimasta in panne nelle vicinanze. Tra ottime e abbondanti libagioni d'annata, prende corpo un processo al cinismo e all'arrivismo della classe borghese. Traps, attraverso il monocolo di un giudice ubriaco, vedrà finalmente la propria vita con chiarezza. La sentenza gli tributerà l'agognato rispetto, tramutando un'esistenza di piccole meschinità in un diabolico delitto perfetto.
Dürrenmatt regala nelle poche pagine di un racconto geniale e indimenticabile la sua "storia ancora possibile", nella quale "dal volto di un uomo qualunque fa capolino l'umanità" e un tribunale ebbro e chiassoso formula un cristallino giudizio universale.
federico_rano - 27/02/2016 01:25