"Da Agostino ai moderni, scrivere le proprie confessioni non ha sempre lo stesso significato né trova le stesse giustificazioni: una cosa è il racconto personale che si pone come 'sacrificium' e si prospetta in funzione di una soluzione al problema del male, un'altra cosa invece è l'indugio compiaciuto sulle proprie contraddizioni e debolezze, vuoi in chiave polemica o addirittura di sfida, vuoi con una più o meno posticcia unzione moralistica. Non a caso il narcisismo negativo raggiunge il suo apice in età romantica, quando il 'mal du siècle' aureola ambiguamente tanti poeti ed artisti. Anche se spesso deviata su un personaggio romanzesco, la confessione diviene allora la forma letteraria preferita per esprimere un disagio storico, uno strumento per emergere comunque dalla massa, esibendo un modello distruttivo e autodistruttivo (e sia pure mitigato da una qualche pretesa di acquisita maturità o addirittura di conversione). Fucina di queste confessioni è soprattutto la Francia, il paese in cui il trauma rivoluzionario e napoleonico ha inoculato nella nuova generazione della Restaurazione e della Monarchia di luglio una complessa sintomatologia della perdita e dell'oltranza anticonformista, del vittimismo e della provocazione". Erudito e di piacevolissima lettura, di quella erudizione cioè che diventa immediatamente avventura intellettuale, questo libro traccia un segmento della storia del genere nella letteratura italiana. Dal rovello confessionale di Tommaseo, centrato sul tema della sensualità, all'opposto intento anticristiano della 'confessione' leopardiana, fino alla pseudoconfessione di Nievo, in cui lo scopo è solo politico e civile, senza che il protagonista (il Carlo Altoviti delle "Confessioni di un italiano") conservi tratti di controfigura dell'autore. Alla fine del volume è documentato l'interesse, profondo e duraturo, che Pirandello nutrì verso la rappresentazione della sessualità da parte del Tommaseo.