1775. Una storia larga e fluente come un fiume. Il fiume Mohawk. Basata su anni di documentazione e ricerche, e in linea con gli studi storici piú innovativi, una narrazione che va alle radici dell'Estremo Occidente. E riporta alla luce sopraffazione, razzismo e guerra. Ma anche la ribellione. Un romanzo avventuroso, un ritmo che è battito vitale, una lingua che compie il miracolo di restituirci vivo e credibile il mondo tra Inghilterra e America alla fine del Settecento. Baronetti inglesi protettori degli indiani, indiani delle Sei Nazioni che leggono Diderot nei boschi, città e costituzioni pellerossa, donne di sapere
e potere, gentildonne inglesi selvagge, avventurieri americani, lord inglesi malinconici, pirati, gang di strada, una folla niente affatto anonima, che fa la Storia. I figli e nipoti di sir William Johnson e della sua sposa mohawk Molly Brant combattono, da lealisti, contro i coloni che si sono ribellati al Re e vogliono le terre degli indiani. Dovranno affrontare un esodo verso il Canada e ancor piú lontano, a Londra, dal Re che credono difenda i loro diritti. Nella capitale dell'Impero le gang di strada adottano a modo loro i costumi mohawk, con effetti stranianti, ed è appena l'inizio dell'avventura: generazioni e contraddizioni si intrecciano, molle potenti e sotterranee premono e incalzano sotto le ideologie, le illusioni, le vite. Prende corpo, implacabile, l'America quale noi la conosciamo, ma rimane aperta la principale libertà che una narrazione possa indicare: quella di immaginare un altro mondo, affidato alla forza generatrice e visionaria delle donne, piú forte di ogni violenza e sopraffazione.