Goliarda prediligeva l'autobiografia ma odiava i diari, i taccuini. Eppure ne scrisse 8000 pagine. In treno, nei camerini, di fretta, con mezzi di fortuna, su agende scadute, rubriche. Una scrittura furtiva, che si contrappone all'ordine, al rito quasi, con cui scriveva i romanzi - ogni mattina, guardando il mare, su fogli extra-strong piegati in due. Lo definiva un vizio, se ne vergognava, come se dovesse giustificarsi. Questo appuntare in nota alla vita esprime il bisogno impellente di scrivere, anche se clandestino. Per vent'anni scrive solo taccuini. Come una seconda vita, fino all'ultimo, non c'è giorno che non vi finisca dentro qualcosa: ricette, possibili titoli di romanzi, fiori secchi, il fallimento del socialismo, il dolore di non avere figli... Uno sguardo da lontano, il desiderio di dare ordine al fluire quotidiano per dargli senso. Pagine che riflettono anche i romanzi scritti e non scritti, svelando però i segreti più intimi, quelli che si vorrebbero tenere nascosti a tutti. Ma, d'altronde, "si scrive sempre per gli altri".