A partire da Nedda (1874) Verga introduce un nuovo e originale modo di fare racconto, ricorrendo ai criteri di un verismo crudo e asciutto in grado di trasmettere al lettore le condizioni di vita - gli istinti, i costumi e le prassi sociali - di un mondo arcaico e primitivo (la Sicilia dei ceti piú arretrati) ma anche di una ricca e moderna "metropoli" (la Milano postunitaria), dove dominano l'emarginazione e le sofferenze dei "vinti", tagliati fuori dal cosiddetto "progresso". Nelle raccolte da lui via via pubblicate (Primavera, Vita dei campi, Novelle rusticane, Per le vie, Drammi intimi, Vagabondaggio, Don Candeloroe C.i, oltre alle "novelle sparse") l'aspra e difficile terra di Sicilia, con l'incessante lotta per la sopravvivenza e il conflitto per il possesso della "roba", insieme con la desolazione di una realtà urbana segnata dall'indifferenza e dall'incomunicabilità, sono tra i motivi piú rilevanti di un'espe-rienza che fa di Verga il massimo novelliere dell'Ottocento.