Nel Vangelo di Matteo (cf. Mt 19,16-22), un giovane chiede a Gesù cosa deve fare di buono per avere la vita eterna. In questa domanda possiamo raccogliere tutte le domande che, in modo, più o meno esplicito, i giovani si pongono e ci pongono nei riguardi della vita e della fede. Nello sguardo di Gesù vediamo l'ascolto a cui siamo chiamati: un guardare/ascoltare capace di trasmettere amore, attenzione e premura. Chi non si sente guardato, non si sente amato. Chi non si sente amato, non pone domande e non ascolta risposte. Non vogliamo che l'attenzione rivolta ai giovani e agli adolescenti si riduca a una delle solite riflessioni su di loro, cedendo alla tentazione di parlare di loro e moltiplicando iniziative o conferenze sull'argomento. Vogliamo cercare e trovare la pazienza e la premura di parlare con loro, per dare vita a un dialogo fecondo, e magari imparare qualcosa dalla loro diversa prospettiva. Non si tratta di fare di più, ma di fare meglio. Convertirci a un dialogo sgombro da ogni pregiudizio. Prima di parlare dobbiamo avere la pazienza di ascoltare. E la «presenza» è la prima modalità concreta di aiuto che possiamo dare, perché nello «stare» si vivono i bisogni più profondi dei giovani. Dobbiamo imparare a «perdere più tempo» con i giovani, perché dalla vocazione del «perditempo» possono sorgere tutte le vocazioni.