"Si erano appena addormentati, in una camera ammobiliata della strada del Pertuso, nel cuore di Napoli. Don Colangelo Perfido Fedele, un giovane prete lucano che celebrava in una chiesa vicina, e Perna Monaco, una vedova, abitavano lì da poco più di un anno, ma stavano insieme da oltre due: 'nnammecate per i vicini, concubini per la Chiesa ufficiale, non avevano mai avuto fastidi per la loro relazione. Ma quella sera di aprile del 1596 furono costretti a separarsi, forse per sempre. Li svegliarono con un'irruzione le scoppettelle, cioè le guardie della Curia arcivescovile, guidate da un giudice e accompagnate dal notaio del Sant'Ufficio e da un vicino." A Napoli, come nel resto d'Italia, sono le autorità ecclesiastiche, non quelle statali, a combattere il concubinato. Nella più affollata e riottosa capitale italiana del tempo, però, sono in molti a resistere alla caccia: i ministri del viceré, migliaia di conviventi laici, gli ecclesiastici con famiglia e figli, i parroci. L'impegno della Curia arcivescovile si articola su due piani ben distinti: lotta alle convivenze e alle esperienze sessuali proibite, ma, soprattutto, a chi teorizza il diritto di vivere la sessualità come vuole. Non bastano perciò l'affissione di cartelli infamanti, il rifiuto della sepoltura, le multe, il carcere per i recidivi: bisogna combattere soprattutto l'eccessiva libertà con cui tanti ecclesiastici e tanti laici difendono le proprie scelte irregolari.