Nel 1943 Benedetto Croce, incuriosito da un titolo inquietante, cerca, in tempi difficili, di procurarsi in Germania un testo poco frequentato dalla critica filosofica. Dopo aver letto "l'Apologia del diavolo", il filosofo ritiene che valga la pena di tradurne il testo. Nella postfazione esprime, però, una certa delusione per il contenuto dell' "Apologie des Teuféls", pubblicato da Johann Benjamin Erhard nel 1795 presso il "Phi1osophisches Journal einer Gesel1schafì Theuscher Gelehrten". Per Erhard - come del resto per Kant - il desiderio di un bene individuale, che in quanto tale viene perseguito, è qualcosa di meramente egoistico, è, cioè, il male. Croce critica la filosofia di Erhard che 'contrappone la natura, estranea e riluttante, allo spirito, arcigno e duro verso gli affètti e i moti nalurali e le passioni, schivo di contatti con essi, inteso asceticamente ad attuare il dovere per il dovere come un soldato, che non conosca e non senta altro che la cieca obbedienza al comando del suo caporale'. Sono, quelle di Croce, parole che, almeno nel loro significato di denuncia dell'astratezza della dicotomia fra 'bene e male' - dicotomia difesa, invece, da Erhard in nome anche di Kant - potrebbero essere state scritte nel contesto della revisione attuale del kantismo. Il Satana che, per Croce, simboleggia la 'fòrza vitale' che si concilia con la 'spiritualità', che è 'amore, poesia, lavoro, scienza, spontaneità', progresso, non è il male ma rappresenta, piuttosto, il bene concepito 'nella sua interezza, pienezza e concretezza', in quanto è ciò che l'individuo ama e a cui aspira, ciò che dà senso e significato alla sua vita.