In un paese come l'Italia, ricco di tradizioni culturali, gli stimoli innovatori, soprattutto nell'ambito delle arti figurative, non si impongono come un lampo nel buio, ma tendono a propagarsi gradualmente entro uno spazio già saturo di complesse stratificazioni. Nel Quattrocento tale fenomeno assume caratteri di più spiccata evidenza e si presta non solo a una più accurata indagine storico-critica, ma anche a una periodizzazione più aderente al reale evolversi della situazione artistica. Gli anni intorno al 1460, qui assunti quale spartiacque cronologico tra due fasi ben individuate del nostro Rinascimento, costituiscono il momento in cui le rivoluzionarie novità toscane del primo cinquantennio del secolo hanno ormai raggiunto gli altri centri della penisola, producendo conseguenze e innescando processi che formano appunto l'oggetto del presente studio. Rinunciando deliberatamente a un approccio di tipo convenzionale, l'autore ha cercato di ricostruire l'orizzonte culturale e i conflitti di tendenza propri a ciascun centro, a ciascuna bottega, a ciascun artista; di drammatizzare, cioè, la storia, presentando l'arte come un'attività, con le sue lotte e le sue conquiste; di recuperare insomma, per quanto possibile, la singolarità e la specificità delle situazioni, dei fatti, delle esperienze figurative all'atto stesso del loro manifestarsi. Calato nelle strutture storiche, sociali e psicologiche dell'epoca, l'operare degli artisti viene così precisandosi in tutta la sua complessità e gli sforzi, i tentativi, i fallimenti dei protagonisti finiscono per dare la misura del potenziale o delle insufficienze insiti nei postulati tecnici e teorici delle generazioni precedenti.