A metà del Seicento, nel corso di soli 15 anni, le istituzioni e la politica della scienza in Gran Bretagna conoscono una vera rivoluzione. L'orientamento che dalla fine degli anni 1650 si coagula attorno alla Royal Society è solo remotamente connesso a quello che si esprimeva nelle università ancora agli inizi del secolo. Al centro di questa svolta c'è uno dei maggiori filosofi della politica e della scienza del mondo moderno, Thomas Hobbes ( 1588-1679). Il ruolo di Hobbes è in questa fase quello, scomodo, di obiettivo polemico contro il quale si riorganizzano tendenze e metodi del nuovo sperimentalismo. Le ragioni di queste polemiche, che attraversano tutta l'enciclopedia delle scienze - cosmologia, matematica e geometrica, meccanica - non sono però intrinsecamente scientifiche. Hobbes viene combattuto come logico, geometra e filosofo naturale soprattutto per colpire la sua filosofia civile; egli ne è cosciente, e difende la sua scienza sapendo di difendere così anche e soprattutto la sua filosofia politica. Per una crudele astuzia della storia, il pensiero scientifico moderno conobbe il suo progresso anche per il fatto che una politica e una teologia tendenzialmente conservatrici lo hanno scelto come campo di battaglia contro posizioni politiche più modeme, che apparivano atee e materialiste, e potenzialmente sovversive. In questa prospettiva, mentre Seth Ward (1617-89) inaugura la polemica e ne mostra le radici metafisico-teologiche, John Wallis (1616-1703) e Robert Boyle (1627-91 ) divengono gli artefici di una disputa volta a sottrarre a Hobbes ogni prestigio e credibilità in campo matematico-fisico, e a impedire che la filosofia politica del "Leviathan" possa imporsi all'attenzione degli intellettuali inglesi attraverso l'ammirazione del suo pensiero 'scientifico'.