Pubblicato sul finire del 1937 come parte di un più esteso libro di testimonianza e reportage sulla guerra civile spagnola allora in corso, "Dialogo con la morte" è senza dubbio, insieme ai libri di Orwell, Malraux e Hemingway, uno dei pochi che nella sovrabbondante produzione generata da quel conflitto hanno dimostrato di possedere il valore duraturo dei classici. E', quella qui raccontata da Koestler, un'avventura personale: la breve missione di giornalista (e agente comunista) in Malaga assediata dagli insorti, la cattura della caduta della città, i tre mesi di carcere in attesa dell'esecuzione, il finale ritorno alla libertà. Non è l'epopea di una guerra; è piuttosto il resoconto di un'esperienza interiore. Nelle prigioni-mattatoio franchiste dove è recluso in solitudine, assediato dalla morte quotidiana dei compagni e dal pensiero della propria, Koestler scopre, con quella lucidità che è privilegio delle situazioni estreme, un più radicale valore della vita, un più elementare legame tra gli uomini. La scoperta dell'inestimabilità della singola esistenza umana, che ha luogo proprio là dove l'individuo è umiliato e spento, e insieme il senso forte di una 'pietà' affratellante saranno nella coscienza di Koestler i frutti di quel lungo "dialogo con la morte" che sfocerà, di lì a pochi mesi, nell'abbandono della militanza comunista e poi nel messaggio tragico sulla disumanità delle idealogie totalizzanti affidato alle pagine indimenticabili di "Buio a mezzogiorno".