Come racconta Diogene Laerzio, Eraclito era "un animo grande, sdegnoso e malinconico". In rotta con i propri concittadini, passava il tempo giocando agli astragali coi fanciulli nel tempio di Artemide ad Efeso; e poi se ne andò a vivere sui monti, infastidito dagli uomini, nutrendosi soltanto di erbe e di piante selvatiche. Di lui restano i frammenti, che la collana "Scrittori greci e latini" presenta nella straordinaria, insieme incandescente e marmorea, traduzione di Carlo Diano. Per Eraclito, l'universo ha il suo principio nella coincidenza degli opposti: intero e non intero, convergente e divergente, consonante e dissonante; e l'unica realtà consiste nell'armonia, dialettica e dinamica, degli opposti, che dall'uno torna all'altro e dall'altro torna all'uno. Questa intuizione dell'universo egli la rese per mezzo di alcuni grandi simboli, come il fiume, il fuoco, l'arco, la lira; e in uno stile meraviglioso, ora così tagliente e luminoso da abbagliare la vista, ora tenebroso e indecifrabile, ma ugualmente attraente: uno stile rispetto al quale quello del più incantevole Nietzsche sembra lo stile di un facitore di banalità domenicali. Edizione con testo a fronte.