Flavio Giuseppe, nato nel 37 d.C. da una famiglia di grandi sacerdoti ebrei, dopo essere stato per qualche tempo a capo della resistenza del suo popolo contro i romani, caduto prigioniero e convintosi che la Provvidenza avesse ormai scelto irreversibilmente l'impero di Roma, divenne uno dei sostenitori della politica di Vespasiano e di Tito. Nella Guerra giudaica, ambientata nello stesso paesaggio di città, campagne e deserti dove pochi anni prima aveva predicato Gesù Cristo, egli descrive appunto, in un crescendo drammatico di battaglie, assedi e suicidi di massa, il disperato tentativo del popolo ebraico di sottrarsi al dominio romano e l'esito disastroso della ribellione, culminata nell'incendio del Tempio di Gerusalemme. L'opera, che resta una delle più importanti della storiografia antica, ha un duplice pregio: di portare alla luce gli scontri dinastici, gli usi e le concezioni ideali delle diverse sette politico-religiose all'interno del popolo ebraico, e insieme di affrontare uno dei problemi fondamentali dell'antichità, quello dei rapporti politici, culturali, religiosi tra 'centro' e 'periferia' dell'impero romano.