Attraverso quali scelte, grazie a quali opportunità l'Italia - un paese povero di materie prime, di capitali, di fonti energetiche, e ricco solo di braccia e di bocce da sfamare - è riuscita, nel giro di qualche decennio, a entrare nella gerarchia mondiale delle nazioni più industrializzate? E, più in particolare, quali fattori sono all'origine dell'attuale sviluppo del Nordest? Per rispondere a questi interrogativi, Sandro Fontana ripercorre il trentennio 1929-59, periodo cruciale della nostra storia economica e sociale, e giunge a identificare nel ceto contadino lombardo, per secoli misero e non considerato, rimasto ai margini del decollo industriale di fine Ottocento, una straordinaria forza produttiva. Nel seguirne il cammino segnato da spirito di sacrificio e di iniziativa, mostra come già in precedenza, nel primo dopoguerra, si fosse registrato in Brianza e nell'Altopiano milanese un sensibile sviluppo, basato sulla figura del mezzadro-operaio, sulla diffusione della proprieà agricola e su piccole attività imprenditoriali. Ma la politica autarchica del fascismo aveva soffocato il fenomeno, riportando le campagne lombarde a un'economia di sussistenza. E dunque con l'avvento della democrazia, sostiene Fontana, che il "modello brianzolo" si estende a tutta la fascia pedemontana delle regioni settentrionali, laddove, cioè, da secoli le popolazioni praticavano nella stagione invernale ogni sorta di attività manuale e dove perdurava tenace, a fianco dell'agricoltura, la tradizione delle antichissime lavorazioni del ferro e della lana, dei metalli e della seta. Grazie a tale combinazione nascono, nel giro di pochi lustri, i "distretti industriali" lombardi, che oggi assorbono un terzo della popolazione attiva nel territorio, e si sono potuti non solo inaugurare nuovi settori di attività, ma anche salvare e rilanciare intere produzioni ritenute in gran parte d'Europa "mature" o obsolete, come quella tessile. Con "La riscossa dei lombardi", basato su una vasta [...]