Pantumas

La nostra recensione

Mentre leggevo "Pantumas", ogni tanto mi fermavo per chiedermi se Chentupedes esistesse davvero, o se Salvatore Niffoi avesse creato fra le pagine una cittadina nuova, come a suo tempo fece Camilleri con Vigata. Appena finito il romanzo, ho controllato su Google. Chentupedes non esiste. Almeno non ancora. Fondato nel 1392, il piccolo villaggio sardo accoglie tra i suoi abitanti la discendenza della famiglia Niala, i cui capostipiti viventi sono mannoi Lisandru e mannai Rosaria. Tradizione vuole, a Chentupedes, che i coniugi muoiano insieme, così come sono vissuti insieme. Non importa che il loro matrimonio sia stato o meno felice, benedetto o meno da figli e attraversato o meno da reciproci tradimenti. Marito e moglie devono morire insieme. Solo che mannoi Lisandru muore solo. Uno sgarbo che mannai Rosaria non può tollerare, più grave ancora di tutte le sue assenze, degli altri letti che ha scaldato, dell'aver mentito quando le disse che lei era stata la prima e unica. Mannoi Lisandru torna dalla morte. E in quel limbo tra il risorgere e il ri-morire vede scorrere, proiettati in un piccolo cinema, gli episodi più importanti della sua vita. Il lettore si immerge tra i grovigli della lingua sarda nella vita di questo piccolo villaggio, inesistente ma di fatto uguale a tanti altri. Perché nei villaggi di campagna - e non solo in Sardegna - il tempo sembra essersi fermato e antiche tradizioni restano vive più che mai.
Marta Traverso)