I "Ricordi" del Guicciardini non sono una raccolta di memorie, secondo l'accezione moderna del termine, bensì una serie di riflessioni e avvertimenti desunti da una intensa esperienza di vita, e tramandati ai discendenti come una sorta di spregiudicato manuale di famiglia. Un libro in cui non si trovano enfasi moralistica o compiacimenti retorici, ma la lucida consapevolezza di ciò che vale a un'avveduta pratica di vita: tanto più indispensabile quanto più debole e infida appare la natura umana (gli uomini sono 'o imprudenti o cattivi'), e imprevedibile l'avvicendarsi delle cose e delle fortune. La raccolta fu elaborata attraverso successive redazioni, lungo l'arco di quasi vent'anni, dal 1512 al 1530, durante il quale Guicciardini figurò tra i protagonisti dell'azione politica: fu ambasciatore, governatore di Stati, consigliere di papi e principi. L'analisi tuttavia non si esercita solo sui grandi problemi della politica e della storia. Essa considera e penetra occasioni e momenti della vita domestica e quotidiana, del costume, dei rapporti sociali, fino a toccare i grandi temi della religione e della morte. L'impressione che si ricava dalla lettura è quella di una saggezza lucida e disillusa, forgiatasi in un mondo in cui i rapporti di forza sono netti, e ai sentimenti - o agli ideali - non restano che le pieghe di una austera malinconia.