La tragedia segna una tappa di rilievo nell'arco del lungo e difficile itinerario artistico dell'Alfieri: composta al culmine della maturità, nel 1782, ne rappresenta il traguardo più alto, l'indiscusso capolavoro. In essa si coglie un sentimento desolato del vivere, l'idea che l'esistenza è un dramma di costrizioni e solitudine, in cui l'individuo non mediocre vanamente consuma la sua volontà di affermazione, l'ansia sempre frustrata di libertà. Il motivo, ormai lungamente meditato, della tirannide si chiarisce nella sua intima e terribile verità: la radice del male è nella stessa natura, nel suo ciclo inesorabile di decadenza e di morte, in quella forza misteriosa che il vecchio re biblico sente incombere su di sé come limite invalicabile alla sua autonomia di uomo, e che disperatamente rifiuta, esprimendo col suicidio un atto estremo di volontà e di rivolta. Note di Bruno Maier.