Tradurre, per Giovanni Giudici, significa inoltrarsi in un territorio sconosciuto, conquistare quella poesia e con essa qualche lacerto della lingua "estranea" in cui รจ scritta. In "Vaga lingua strana" lo stesso poeta ha raccolto un'ampia scelta delle sue traduzioni da Tommaso d'Aquino, Milton, Coleridge, Dickinson, Pound, Eliot, Plath e altri.