Il primo ad accogliere questo libro come il guadagno di conoscenza che premia, nei casi più felici, l'esegesi congeniale fu proprio Canetti. "Alcune delle connessioni che Lei ha scoperto sono del tutto nuove anche per me", scrisse con gratitudine all'autore. Attraversare e connettere sono i gesti critici a cui si affida Ishaghpour: perlustra senza nulla omettere il campo lungo dell'opera; riannoda oltre il luogo comune i due presunti Canetti, quello giovane segnato dal male e quello maturo convertito al bene; misura le origini ebraiche nella loro distanza da qualsivoglia chiusura identitaria; accompagna la nascita alla scrittura attraverso i generi in cui si espresse, dall'unico romanzo al teatro, dalla lunga parola autobiografica al diario di viaggio; al centro, il saggio capitale, "Massa e potere", che si accampa nel Novecento con la sua antropologia sovvertita, irriducibile alle partizioni consuete del sapere e ai suoi codici impliciti. Ishaghpour si muove intorno ad alcune idee-chiave e coppie concettuali, quali metamorfosi e identità, potere e comando, sopravvivenza e dominio, uno e molteplice, e le fa irradiare dal loro centro comune, l'odio canettiano per la morte. "La volontà di sopravvivere caratterizza ogni potere, dal sopravvivere ai propri morti fino alla potenza assoluta, paranoica, dell'uno che sopravvive a tutti i cadaveri. Ma al potere, alla morte, alla paranoia, all'uno, Canetti oppone la molteplicità e la metamorfosi".