Gli autori ripercorrono la storia delle rappresentanze del mondo agricolo italiano, dal sindacato fascista alle lobby di Bruxelles, passando per il crack di Federconsorzi, senza dimenticare i movimenti anti OGM e la globalizzazione dei mercati. Si delinea un modo anomalo, tipicamente italiano, di fare lobby, costantemente rivolto a politiche di welfare piuttosto che a favore della competitività e delle imprese, spesso eccessivamente politicizzato, frammentato e rivolto a difendere vecchi privilegi, inadeguato a rispondere alle esigenze dell'allargamento dell' Unione europea e alle sfide dell'innovazione.